MARISOL - MENTORING SCHOOL
"ONE-TO-ONE"
L’ESPERIENZA DAL CARCERE
COME RIDARE CONSAPEVOLEZZA E POTERE ATTRAVERSO LA PAROLA
PRESENTAZIONE
E’ ormai da qualche anno che mi interesso di detenzione e ogni volta che aggiungo un piccolo tassello a questo enorme puzzle, capisco qualcosa di nuovo. Il punto è che il carcere è uno straordinario specchio, in cui ciascuno, seppur in veste di ricercatore, scopre se stesso.
Non è sempre facile trovare le parole giuste per parlare di questi temi, perché l’idea di istituzione totale si ricollega a quella della colpa e dell’esclusione, quando si vengono a sapere misfatti, talora anche gravi, che turbano quella che vorremmo fosse la civile convivenza.
La stesura del mio lavoro parte dall’ipotesi che il carcere risulta essere una realtà in cui vengono violati i diritti umani fondamentali. Lungi dall’essere una condizione effettiva di rieducazione rappresenta per molti un’esperienza negativa, di totale annullamento e spersonalizzazione dell’identità umana. L’uscita dal carcere costituisce un trauma, perché i diritti individuali si riducono a indicatori di senso e di status sociale, allo scopo di rimarcare unicamente la differenza tra società civile e condannati-emarginati. Il termine di assimilazione descrive un lento graduale e più o meno inconsapevole processo durante il quale una persona impara abbastanza elementi della cultura delle unità sociale in cui si trova da caratterizzarsi per essa. Si tratta di un universo dove ogni relazione viene distorta, alterata e fraintesa. Non è solamente un ritiro dal mondo normale delle attività e degli affetti, ma anche una dimensione artificiale dove tutto viene negato. Alla sofferenza fisica si aggiunge la completa desocializzazione, la povertà morale e materiale, che condurrà verso la natura vendicativa, verso la costruzione di un sistema di sopravvivenza capace di rispondere solo al male con il male. La dimensione strettamente penitenziale disimpara l’autentica comunicazione con il prossimo, paralizza l’elaborazione dei modi di essere socialmente attendibili per il giorno della liberazione.
La prigionizzazione è simile all’assimilazione. Ogni uomo che entra nel penitenziario subisce in una certa misura la prigionia, e il primo e più ovvio passo di integrazione riguarda lo status. Egli diventa in un solo momento una figura anonima in gruppo subordinato; un numero sostituisce un nome; indossa i vestiti dei membri del gruppo subordinato; viene interrogato ed ammonito; presto impara i ranghi, i titoli e l’autorità dei vari ufficiali; e che usi o meno lo slang e il gergo della prigione, ne impara il significato. Anche se un nuovo può tenersi a distanza dagli altri detenuti e rimanere una figura solitaria, si ritrova in pochi mesi a riferirsi e a pensare ai carcerieri come “vite” e a usare i soprannomi locali per designare le persone. Dopo che il nuovo arrivato si è ripreso dagli effetti del processo di inghiottimento, assegna un nuovo significato a condizioni che aveva prima dato per scontate. Il fatto che gli sono stati dati il cibo, il tetto, il vestito e un’attività lavorativa all’inizio non gli fa nessuna impressione speciale. E’ soltanto dopo alcune settimane e mesi che comincia a pensare a nuove interpretazioni di queste necessità vitali.
DESCRIZIONE
La reclusione è un percorso radicale e ampio, dalle molteplici risonanze, in cui è impossibile “catturare” il senso più intimo del termine in un progetto di ricerca. Dinnanzi si mettono sempre al primo posto l’ordine, l’interesse generale, la sicurezza pubblica, la difesa dei valori sociali, come se fossero sufficienti a riparare l’umanità dalle imprese criminali.
La privazione delle libertà diventa una condizione ben precisa di minorità e dipendenza, con tutte le conseguenze, anche se si usufruisce di un’emancipazione limitata e di una parziale capacità di autodeterminazione. Le azioni quotidiane nei tempi e nei ritmi da quel momento in poi, saranno regolati da terzi e tutta la vita delle persone sembrerà orientata verso un percorso obbligato.
Il carcere è una città murata viva, dall’atmosfera crudele e violenta. Gli eventi che vi accadono, i sentimenti e le emozioni che si esprimono, le paure e le speranze, gli odi e gli amori sono identici a quelli di qualsiasi altra città, anche se qui tutto assume uno strano contorno, dove per potersi sentire veramente soli ci si deve scavare dentro, nel punto più profondo, nel luogo sicuro.
La società domanda alle istituzioni funzioni che, simbolicamente e realmente, creano l’immagine di un appoggio strutturale vicino all’ideale di protezione della vita sociale. Lo Stato, che solitamente dovrebbe incarnare il bene comune, si propone così di rispondere, trovandosi al centro della vita del cittadino: il nemico da cui difendere il popolo è il delinquente in quanto offende la dignità altrui e la pena da infliggere ai trasgressori acquista una funzione afflittiva- punitiva.
CONTENUTO
Il carcere incarna questo ideale: inflessibile e distruttivo nei confronti dei trasgressori, flessibile e attenuato nei confronti degli altri.
L’errore di tutto un modo di pensare, di cui involontariamente si viene soggiogati, consiste nel non riuscire a interpretare realmente il significato di privazione della libertà umana. Per un periodo più o meno lungo il detenuto smarrisce tutte le facoltà che rendono la vita degna di essere vissuta, e chi ne è in possesso non ha generalmente modo di rendersene conto. L’espropriazione di ogni riservatezza e intimità, il sentimento di umiliazione e la violenza sono componenti quotidiane della vita dei detenuti. Genericamente si preferisce pensare che il tempo di reclusione sia un periodo di recupero individuale, in modo che le persone una volta fuori appaiano diverse, ravvedute, pronte a ricostruirsi un percorso di esperienze sulla base di percorsi introspettivi. E’ il carcere…. ciò che va invece oltre la privazione della libertà.
La prigione è meno recente di quanto si possa pensare; di fatto, esiste dal momento in cui sono state utilizzate le leggi penali, e si è costituita all’interno dell’apparato giudiziario nel momento in cui furono elaborate le procedure per ripartire gli individui e distribuirli spazialmente, classificarli, ricavare da essi il massimo rendimento e il massimo delle forze, addestrare i loro corpi, codificare il loro comportamento in continuità, mantenerli in una visibilità senza lacune, formare intorno ad essi tutto un apparato di osservazione, di registrazione e di annotazioni.
L’uso di un apparato per rendere le persone docili, attraverso un preciso lavoro di forzatura e di sottomissione, ha costituito il punto principale di quella che oggi è conosciuta come istituzione-prigione, prima che venisse etichettata come pena per eccellenza.
STRUTTURA MODULARE
SEZIONE A:
UNO SGUARDO RIVOLTO ALLA RICERCA QUALITATIVA
NEL CONTESTO DI UNA RICERCA SULL’ESPERIENZA DI CARCERE
1.1 Le strategie di scelta
1.2 L´analisi delle interviste nell´approccio penitenziario
1.3 Il processo interpretativo
1.4 Il filo e lo stile narrativo
SEZIONE B:
L’INTERVISTA QUALITATIVA
2.1 Il rapporto relazionale e la sua struttura asimmetrica
2.2 La raccolta-dati
2.3 L´intervista biografica
2.4 Le condizioni comunicative e la tecnica del rispecchiamento
2.5 Il profilo meta-cognitivo dell´intervistatore e il colloquio cognitive
2.6 Il modello semi-strutturato
2.7 La conduzione
2.8 La memoria detentiva
SEZIONE C:
LA NARRAZIONE
3.1 Il metodo della narrazione della storia
3.2 La relazione empatica intervistatore/intervistato
3.3 L´individuazione di una traccia
3.4 Le strategie di reclutamento e la scelta dei protagonisti
3.5 La tecnica della manipolazione descrittiva
3.6 Il protocollo narrativo penitenziario: Inmates Human Development Interview System (IHDIS)
SEZIONE D:
I SOGGETTI INTERVISTATI
4.1 Alfred
4.2 Samir
4.3 Eduard
Riflessioni conclusive Dichiarazione
Appendice A: Traccia di questionario
Appendice B: Domande infra-conversazionali
Appendice C: Scheda degli indicatori rilevabili nelle narrazioni
Appendice D: Traccia di intervista per l’analisi narrativa dell´ex detenuto
Appendice E: Criteri per la valutazione dei resoconti
Appendice F: Normativa penitenziaria
Appendice G: Quesiti discorsivi
Appendice H: Questionario sul trattamento sanitario
Appendice I: Glossario penitenziario
Appendice L: Denominazioni carcerarie Bibliografia Sitografia
OBIETTIVO
Parlare anche indirettamente di libertà umana, vuol dire affrontare una delle tematiche più rilevanti della vita di una persona, perché comunque e dovunque la libera scelta contribuisce a determinare lo status sociale identitario di ogni individuo. Il modo di saper gestire al meglio questa condizione personale rappresenta a mio avviso un forte valore di crescita e di maturazione psicologica e sociale, perché contribuisce al superamento di forme di dipendenza dagli altri a favore di una relazione autonoma decisionale, consapevole del fatto che si è in grado di occupare un ruolo attivo e produttivo. Spesso invece risulta impensabile associare quest’idea agli ambiti restrittivi e immaginare minimamente quali catastrofiche conseguenze possono maturare.
La cultura è resa complessa, non soltanto dal costante cambiamento della popolazione, ma da queste differenze in tempo e grado di prigionizzazione. L’assimilazione è sempre un processo lento e graduale, ma il tempo dipende dalla personalità dell’individuo coinvolto, dal suo crimine, dall’età, dalla zona in cui abita, dalla situazione in cui si viene a trovare in prigione e da altri fattori più o meno ovvi. Il processo non procede necessariamente in modo ordinato o costante, ma tende a essere irregolare. In alcuni casi ho notato che si opera in maniera ciclica. Il livello e la velocità della prigionia possono essere giudicati soltanto dal comportamento e dagli atteggiamenti dei soggetti, e questi variano da individuo a individuo, e nel soggetto da momento a momento. E’ l’eccessivo numero di cambiamenti di orientamento che gli uomini hanno che rende la generalizzazione riguardo a questo processo così difficile.
La domanda se sia possibile partire da un confronto diretto con il detenuto, per arrivare insieme a una svolta innovativa di ricerca vedrà come capisaldi i seguenti criteri valutativi:
-
la centralità della persona destinataria del mio intervento, come protagonista attiva della relazione dialogata
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il valore aggiunto sia in termini di esperienze personali che di chiaro confronto con gli altri
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le caratteristiche culturali e biografiche di ognuno di loro
Innumerevoli tentativi di riforma del codice penale si sono susseguiti ormai da anni; tentativi che potrebbero raccogliere le istanze e le sperimentazioni delle forme alternative alla detenzione, forme insomma che fanno ripensare all’origine stessa della pena e della condanna; dalla mediazione penale, alla giustizia riparativa e distributiva.
Nella mia tesi voglio presentare uno studio su come questa esperienza viene vissuta dagli individui. Descrivere il punto di vista di chi è stato recluso è profondamente innovativo perché gli esseri umani vengono oggettivati, e la loro voce messa a tacere. Con questo lavoro intendo contribuire a restituire il diritto a essere soggetti e a essere ascoltati.
Per questo motivo la ricerca qualitativa e le metodologie narrative diventano strumenti centrali. L’ascolto e l’osservazione insieme elaborano una serie di esperienze estremamente intense e cariche di emozioni, anche dal punto di vista personale, dalle quali è possibile comprendere in profondità quanto l’istituzione carceraria possa essere negativa, e in molti casi moralmente e fisicamente devastante.
Ecco che ho interpretato una possibile via di uscita da intraprendere come profondo desidero di “scarcerare” l’intera comunità, liberandola da un’ideologia rigida sempre più pericolosa.
Quindi partendo dal metodo dell’intervista strategicamente adattato alla ricerca qualitativa nell’istituzione penitenziaria, cercherò di chiarire prima di tutto alcune tattiche da adottare allo scopo di approfondire la pluralità degli atteggiamenti degli individui coinvolti.
Nel mio lavoro prediligo questo metodo di analisi relazionale, attraverso il quale vorrei mostrare maggiore interesse per la comprensione e l’interpretazione del fenomeno attraverso la semplice relazione umana, oggi sempre più in crisi, e riproporla in termini di previsione e di controllo del fenomeno di rieducazione del cittadino.
In altri termini il carcere deve potersi e sapersi relazionare con il suo contesto, dal quale attingere le risorse necessarie per adempiere alla funzione riabilitatrice e risocializzante, possibile solo attraverso una conoscenza approfondita dello stato d’animo e delle emozioni delle persone che vivono l’esperienza di detenzione. Vorrei pertanto sovvertire la visione cimiteriale del carcere, per cogliere la possibilità di costruire interventi diversi e più rispettosi delle persone e delle loro potenzialità. Penso che l’intervista e il colloquio in se stessi aprano una possibilità di coadiuvare al processo di risocializzazione degli ex detenuti, proprio in quanto ristabiliscono un rapporto di fiducia tra la persona che ha avuto un’esperienza di carcere e la comunità esterna. Il mio programma di studio è stato definito sulla base di alcuni spazi funzionali operativi per produrre risultati pratici e utili, soprattutto per la prospettiva futura: intendo comprendere come costruire una continuità tra dentro e fuori, il senso di creare aree votate allo svolgimento di attività educativo-lavorative collettive e individuali con la società civile e di stabilire degli spazi vitali umani per riordinare e riorganizzare la nuova vita della persona che è stata in carcere.
Per tutte queste ragioni gli istituti penitenziari dovrebbero adottare soluzioni portatrici di valori, sensibili a soddisfare le esigenze psicofisiche di ogni recluso, in modo da acquisire nella visione collettiva maggior valore al pari di qualsiasi altro individuo.
Il tema della carcerazione nelle sue sfaccettature merita più considerazione perché è anche con il valore umano di ogni detenuto che la società civile può accettare di offrire possibilità di riscatto a chiunque lo desideri e condizioni di vita rispettose della dignità umana.
Propongo con la mia ricerca di aprire uno spazio per le singole personalità di chi è stato in carcere, ricercando attraverso il confronto diretto, il significato di questa esperienza, e offrire in questo modo una campagna per l’umanizzazione del sistema penitenziario, per mettere al centro della discussione l’enunciazione dei diritti dell’individuo, elevandolo a titolare di posizioni giuridiche attive.
Vorrei fare strada alla tesi del recupero sociale del detenuto, attraverso un intenso dibattito sulla sua personalità e sul suo modo di porsi, con l’obiettivo finale di trasformarlo in un soggetto attivo protagonista della sua stessa risocializzazione. Tutto ciò può avvenire attraverso una diretta presa di coscienza all’interno della collettività, e attraverso l’acquisizione della volontà di vivere nel rispetto del contesto comunitario umano.
Vorrei inoltre precisare che il pensiero attuale della pena sta subendo un graduale traumatico cambiamento, sia a livello collettivo che individuale, dovuto a due dinamiche: i detenuti, da una parte, e l’opinione pubblica, dall’altra. Fino ad oggi il monopolio sull’argomento era riservato ai penitenziaristi di professione e agli academici ed esperti, ai quali spettava l’arduo compito di gestire concretamente l’istituzione, riuscendo a ricongiungere le innovazioni con la logica carceraria. Oggi invece il fatto decisivo è segnato dall’imprigionamento di massa, di grandi gruppi criminali per lunghi periodi. Si tratta di una procedura così ovvia che spesso porta a trascurare il suo significato: la società ha creato comunità contenenti centinaia o migliaia di individui che lavorano, mangiano, dormono e vivono insieme per anni e anni. Il fenomeno della detenzione non è più rappresentato dalle immagini del galeotto legato al suo remo, di una manciata di sospetti trattenuti per breve tempo, di un individuo improvvisamente diventato selvaggio e temporaneamente ristretto, o del prigioniero politico solitario. Esso consiste invece in molti individui rinchiusi insieme per un periodo medio-lungo, che da inevitabilmente vita a un sistema sociale, caratterizzato non semplicemente dall’ordine sociale stabilito dagli addetti alla custodia, ma anche dall’ordine sociale che si sviluppa più informalmente quando interagiscono tra loro nell’affrontare i problemi posti dal loro particolare ambiente. L’accettazione di un ruolo inferiore, l’acquisizione di dati relativi all’organizzazione della prigione, lo sviluppo di alcuni nuovi modi per sopravvivere, l’adozione del linguaggio locale, il riconoscimento che niente è dovuto all’ambiente per la soddisfazione dei bisogni, e l’eventuale desiderio di un buon lavoro, sono tutti aspetti che possono essere riscontrati in tutti i detenuti. Questi aspetti sono importanti per la loro universalità, specialmente per quei soggetti che hanno scontato tanti anni di pena. Questo vuol dire che anche se nessun altro fattore della cultura della prigione toccala personalità del detenuto con molti anni di carcere, l’influenza di tali fattori universali è sufficiente per rendere un uomo membro caratteristico della comunità penale e probabilmente per distruggere la sua personalità in modo tale da rendere impossibile un successivo felice adattamento ad ogni altra comunità.